Dante, la Commedia, o del guardo di Donna

Caravaggio venerdì 14 mag 2021

Dante, la Commedia, o del guardo di Donna

Dialogo tra narrazione e musica

di e con Federica Cavalli

e Nadio Marenco, fisarmonica

(Acquarello su carta mano di Graziella Frecchiami)

 

Venerdì 14 maggio ore 20.30

Parrocchia Ss. Fermo e Rustico

Caravaggio (Bg)

 

 

organizzato da Come un fior di loto - Spettacoli

con la collaborazione della Parrocchia SS. Fermo e Rustico di Caravaggio (Bg)

 

PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA

presso libreria Come un fior di loto a Caravaggio (Piazza Ss. Fermo e Rustico)

oppure telefonando o mandando un messaggio ai numeri

340 3780347 e 348 3841631

Si prega di rispettare le norme Covid: temperatura corporea inferiore a 37.5°, distanziamento e utilizzo corretto della mascherina

 

Dante è un uomo che si trova ad iniziare un viaggio. Un viaggio singolare che lo mette in contatto con tutto il male e tutto il bene.

Ma come inizia questo viaggio? Con quale animo? E che tipo di viaggio è mai questo?

Rispondendo a queste domande, e attraverso la lettura canto dopo canto, scopriamo che Dante, preso da paura per il viaggio che è prossimo ad intraprendere e, già pronto a tornare indietro con le lacrime gli rigano il volto, viene convinto a proseguire da Virgilio che riporta le parole di Beatrice, sollecitata da Santa Lucia su indicazione di Maria, la Madonna.

Il viaggio di Dante inizia, perché sostenuto da tre donne.

Dante parte, e la paura non l’abbandona, ma parte perché Maria “Donna è gentil nel ciel che si compiange” compiange, piange con, si commuove, si muove verso Dante e lo fa, affidandolo a Santa Lucia che negli occhi ha già la Luce ed è “nimica di ciascun crudele”  che va da Beatrice “Lucevan li occhi suoi più che la stella;” e Beatrice oggetto dell’amore di Dante al punto che, dopo la sua morte avvenuta nel 1290, si sente come davanti ad un bivio: o la vita è un imbroglio e la morte vince sempre, o c’è un’altra strada.

Questa strada ce la annuncia con il sonetto conclusivo de Vita Nova

Oltre la spera che più larga gira

passa ’l sospiro ch’esce del mio core:

intelligenza nova, che l’Amore

piangendo mette in lui, pur su lo tira.


Quand’elli è giunto là dove disira,

vede una donna, che riceve onore,

e luce sì, che per lo suo splendore

lo peregrino spirito la mira.

 

Vedela tal, che quando ’l mi ridice

io no lo intendo, sì parla sottile

al cor dolente, che lo fa parlare.


So io che parla di quella gentile,

però che spesso ricorda Beatrice,

sì ch’io lo ’ntendo ben, donne mie care.

 

Al quale aggiunge un’ultima pagina:

Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei.[2] E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna. [3] E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus

Nasce così la Commedia dantesca, nasce dal turbamento del lutto, da uno scoramento, da un dubbio generato da un lutto, da una domanda che il lutto della persona amata si porta dentro, una domanda che non viene censurata, che non viene eliminata, dimenticata a cui Dante cerca una continua risposta…e la risposta inizia con l’affermazione del suo limite “io sol uno” solo di fronte alla responsabilità al responso. Il limite che fa nascere la paura e il compianto di qualcuno che ci mette nella possibilità di fare un passo consapevole:

«Dunque: che è perché, perché ristai?

Perché tanta viltà nel core allette?

Perché ardire e franchezza non hai?

Poscia che tai tre donne benedette

Curan di te ne la corte del cielo,

e ‘l mio parlar tanto ben ti promette?»

Questa la premessa necessaria per stare davanti a questo lavoro che è lettura, monologo e musica dal vivo a sottolineare i vari passaggi della narrazione.

Il finale di questo spettacolo è tutto dedicato a Maria con il Magnificat e il “Vergine Madre…” che Dante le dedica.

È il materno sguardo di Maria che cambia il viaggio di Dante. È la certezza di uno sguardo di madre che guida anche il nostro viaggio attraverso tutti i lutti, persone care che vengono a mancare, ma anche fasi di vita che si chiudono e si aprono continuamente.

Il materno, figlio della bet del “Bereschit”, bet che ha valore di Uno più Uno che è il mattone sui cui si sviluppa l’Antico Testamento. Quella bet che è il femminile, è già Maria “figlia di tuo figlio” è questo duo che Dio cerca per cui senza l’uomo non ha ragione di esistere Dio. E l’uomo è generato da un accogliente femminile, da un sì pronunciato che diventa subito Uno più Uno. Di generazione in generazione.

Il viaggio dell’uomo tende al Paradiso ma per riuscire in questo viaggio, l’uomo  passa attraverso il guardo di una donna, attraverso il pianto di commozione degli occhi di Maria.